‘Se la vita di una famiglia potesse essere paragonata ad un quieto ruscello, dovremmo dire che la separazione è un grosso gorgo che turbina violentemente nel suo centro’ (Jonhson) La famiglia è una struttura sociale che implica, nella condivisione della vita quotidiana, una commistione inscindibile di aspetti economici, giuridici, politici, morali, religiosi, psicologici e sociali. Negli ultimi secoli (1800-2000) si diffonde l’idea secondo cui la famiglia non è solo un’istituzione sociale e legale, e la sua vita inizia ad identificarsi soprattutto con la rete di relazioni sentimentali esistenti al suo interno. Il ‘vulnus’ della famiglia in crisi, si identifica nella rete di relazioni e si manifesta in modo graduale ma veloce come cellula autonoma e peculiare sulla quale la società si basa, pur rimanendone distinta. Se la famiglia era, in primo luogo, un’entità sociale e politica organizzata in modo rigidamente gerarchico, regolata e strettamente vincolata da leggi, consuetudini, considerazioni di convenienza economica, nella nostra Costituzione e, quindi, sin dal 1947, emerge un nuovo concetto di famiglia, intesa come una struttura fondata sul consenso, quale regola dei rapporti familiari e sul principio dell’uguaglianza morale e giuridica dei coniugi. Molti problemi che le famiglie vivono oggi, nascono proprio da questi nuovi fondamenti eticogiuridici ma, ancor più, dall’evoluzione che il concetto di famiglia ha avuto tra il codice del 1942, ove veniva esplicitato che il marito ne era il capo, e la legge del 1975 la quale sancisce che:< nel matrimonio, il marito e la moglie acquisiscono gli stessi diritti e assumono i medesimi doveri> (art.143 cc) L’accento posto sull’uguaglianza dei coniugi, senza alcun dubbio forte di degno apprezzamento, è stato prodromico alla nascita di problemi complessi anche sotto il profilo organizzativo. Come è possibile mediare e sbloccare eventuali situazioni di stallo fra due soggetti che detengono lo stesso potere? L’istituzione familiare, di conseguenza, si delinea come una struttura contraddittoria e paradossale che, in termini sistemici, si può definire di < doppio legame>. La famiglia è ancora, nell’immaginario collettivo e popolare, il luogo ove ciascuno dovrebbe essere accettato per quello che è e rappresentare il porto sicuro in cui approdare, in un’atmosfera di affetti gratuiti. 2 La notevole attenzione posta oggi al dato sentimentale eleva, fortemente, il livello di aspettative reciproche e il conseguente rischio che vengano disattese. L’esigenza della soddisfazione reciproca dovuta e voluta diventa un punto centrale e irrinunciabile che conduce i coniugi, nel frattempo divenuti anche genitori, a competere e confrontarsi con un’immagine idealizzata, spesso in contrasto con la realtà deludente, frustrante, insoddisfacente. Tanto più forti erano state le aspettative, tanto più intensa si avverte la sensazione di essere stati traditi e ingannati, quando il rapporto si indebolisce e volge al termine. I coniugi, però, pur nella sofferenza reciproca del conflitto, non hanno facilità a modificare aspetti della propria personalità e, spinti anche dai reciproci vissuti personali, continuano a perseguire nella propria concezione di matrimonio e a rincorrere il proprio modello genitoriale; non mostrandosi disponibili al compromesso, annullano ogni possibilità di giungere ad una condivisione di vita e di interessi. Se i genitori credono, sebbene in modo confuso e non pienamente avvertito, in due modelli di famiglia diversi, ciò rende estremamente difficile non solo il rapporto di coppia ma anche quello con i figli, destinati a caricarsi di una comunicazione fallace ed inefficace. Oggi la famiglia e in primis, la coppia, entra in crisi non solo per la difficoltà a delineare la propria identità come struttura, ma anche per i ruoli sempre nuovi e mutevoli assunti dai singoli membri. L’evoluzione della figura femminile ha messo in crisi e sbilanciato quella maschile, ha indotto ad una maggiore instabilità della coppia e introdotto motivi ed elementi che espongono il nucleo familiare al rischio di una più elevata conflittualità. Nel conflitto, qualcosa di essenziale è stato toccato: la sofferenza dei coniugi dovrebbe essere solo un momento di passaggio verso una scelta di riconciliazione o di separazione, invece spesso non è cosi: si preferisce rimanere inconsapevolmente legati ad uno stato di disaccordo e di sofferenza continui, pur di aggrapparsi all’unica identità che, ancora, si riconosce della relazione perduta. La mediazione familiare può essere molto utile ai coniugi in questa fase, in quanto può aiutarli ad uscire dal passato per ritrovare il presente, ad abbandonare i fantasmi che ognuno dei due si è costruito sull’altro per capirne la rispettiva realtà, per renderli più consapevoli del legame tra loro intercorso. I coniugi in conflitto, sono spesso genitori impotenti, prigionieri del caos che essi stessi hanno creato e rischiano di dar vita a relazioni poco funzionali, in quanto scarsamente centrate sui figli. Il ciclo infernale della sofferenza coinvolge l’intera famiglia ove, ognuno si sente perseguitato, nessuno persecutore e i figli ne sono le vittime. La conflittualità genera dolore e disperazione e, questi sentimenti inespressi, si manifestano frequentemente attraverso la violenza. La prima forma di violenza, la più subdola, per le sue conseguenze largamente sottovalutate e misconosciute è quella verbale, la cui insidiosa struttura si rinviene nell’assillo quotidiano esercitato da uno dei partner attraverso atteggiamenti, parole o silenzi. È una forma di comportamento spesso inconscia che si manifesta anche attraverso la non assunzione di responsabilità nei riguardi dei figli, un’eccessiva autostima in grado di annientare la personalità del coniuge più debole, l’uso sistematico dell’ironia che, spesso, sottende insinuazioni gratuite e ingiustificate di fronte alle quali l’altro si sente aggredito. Questa situazione segna il passaggio del rapporto coniugale, dalla fisiologia alla patologia, non sempre riconosciuta da chi la vive e, quindi, pericolosa per il potenziale instaurarsi di un vero e proprio < terrorismo domestico>, spesso fonte di sopravvivenza alla quotidianità. La relazione di coppia, a qualsiasi età è il terreno ideale sul quale può radicarsi il dramma dell’amore e dell’odio, alimentando la violenza che, purtroppo, in alcuni casi si trasforma da verbale in fisica. Se le parole rimangono inascoltate, la violenza fisica diviene l’unica forma di espressione e di comunicazione quotidiana. La violenza, anche se rimossa finisce sempre con l’esprimersi: quanto più si cerca di controllarla, tanto più la si alimenta; è contagiosa, si autorigenera perché si nutre di sé stessa. In ogni tipo di violenza c’è sempre un perdente: nella coppia sono i coniugi, nella famiglia lo sono anche i figli. Il conflitto radicato nella violenza, non diventa espressione di crescita, le sue potenzialità di trasformazione rimangono bloccate nel disordine alterando l’equilibrio dei soggetti, fino a sfociare in veri e propri traumi Vivere nella violenza significa minare la sicurezza della coppia e dei figli creando in loro insicurezza e bisogno continuo di manifestazioni di affetto e rassicurazioni. Crescere in un contesto di
significa precludere lo sviluppo di un processo di riconoscimento delle specificità dei figli, dei loro particolari bisogni, della loro soggettività. Come interviene la normativa nel conflitto familiare? La Costituzione Italiana all’art.29 definisce la famiglia come “una società fondata sul matrimonio” ma a distanza di molti anni dall’elaborazione del dettato Costituzionale, questa definizione appare estremamente riduttiva. La struttura familiare, oggi, va ben oltre l’identificazione del nucleo rappresentato dalla coppia genitoriale, legata dal rapporto coniugale e dai figli; la famiglia attuale può essere una famiglia allargata, con un unico genitore e può essersi costituita con modalità che prescindono dal matrimonio ed implementano nuovi sistemi di relazioni e nuove figure parentali. L’ambito in cui maggiormente si svolge il contenzioso familiare è quello dell’interruzione del rapporto coniugale che nel nostro Paese avviene attraverso le procedure di separazione e divorzio oppure attraverso il ricorso al Tribunale per stabilire le condizioni di affidamento e collocamento dei figli minori nati da genitori non coniugati. Se il conflitto familiare, attraverso l’opera dei legali e dei mediatori familiari trova una sua composizione, la separazione avverrà tramite un accordo tra le parti (separazione consensuale); diversamente la procedura sarà giudiziale poiché il conflitto sfocerà in un vero e proprio contenzioso. Il procedimento contenzioso ha in genere ad oggetto varie questioni economiche tra cui soprattutto la determinazione dell’assegno di mantenimento per i figli e/o per il coniuge, la casa coniugale, l’affidamento e il collocamento dei minori. Nel 2006 con la legge n.54 il legislatore ha modificato l’art.155 c. c introducendo la legge sull’affidamento condiviso e stabilendo che lo stesso diventi il regime ordinario ; con questa legge che segue all’affermazione del principio di Bi -genitorialità, si sancisce che il minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con entrambi i genitori dai quali ricevere cura, educazione e istruzione e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale. Viene quindi superato il concetto di affido esclusivo che, nel 90% dei casi vedeva la mamma genitore affidatario, e si stabilisce che le decisioni di maggiore interesse per i figli relativi all’istruzione, educazione e alla salute sono assunte di comune accordo tra i genitori, tenendo in considerazione le capacità, le inclinazioni naturali e le aspirazioni degli stessi. L’affidamento e il collocamento sono due istituti giuridicamente diversi e sui quali spesso si fa confusione: il primo attiene alle scelte inerenti la vita dei figli, il secondo riguarda dove i bambini fisicamente risiederanno e per quanto tempo. In caso di disaccordo tra i coniugi sulle condizioni della separazione o del divorzio, il giudice valuterà la situazione e stabilirà se sia possibile, nell’interesse del minore, pronunciarsi in favore di un affido condiviso; sempre a garanzia del principio di bigenitorialità e, nell’interesse del minore, il giudice adito verificherà poi, se vi siano i presupposti per stabilire un collocamento paritario tra i genitori (ossia con una divisione dei tempi equamente distribuita) o sia preferibile, invece, collocare il minore prevalentemente presso uno di essi. Il contenzioso familiare sempre più frequentemente si verifica anche in quelle forme familiari in cui i genitori non sono legati dal rapporto coniugale: ciò accade nelle cd convivenze more uxorio, ma anche nel recente fenomeno delle coppie cd “liquide”. Le vicende che riguardano queste famiglie sono pressochè le stesse di quelle con genitori coniugati ed in caso di interruzione del rapporto di coppia i temi al centro della controversia risultano i medesimi delle coppie sposate; anche ad esse viene applicata la normativa sull’affidamento condiviso. Un ulteriore profilo entro il quale possiamo individuare il contenzioso familiare è quello che scaturisce tra i componenti della famiglia per questioni non legate alle vicende che riguardano il rapporto di coppia o che derivano da questo solo indirettamente (si pensi ad ex alla materia delle successioni, al riconoscimento del figlio nato fuor dal matrimonio, al rapporto dei nipoti con gli ascendenti ecc.) Un aspetto fino a qualche anno fa sconosciuto al contenzioso in ambito familiare era quello della rivendicazione dei nonni, a seguito della separazione dei genitori, dei loro nipotini; per tutelare l’importanza di questi rapporti il legislatore è intervenuto stabilendo che il minore ha diritto di “ conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale”. La norma sancisce il DIRITTO del bambino al mantenimento della continuità relazionale con le altre figure parentali, al quale corrisponde la possibilità per gli ascendenti di promuovere un’autonoma azione nel caso sia loro impedito avere rapporti con i nipoti minorenni; la possibilità anche per figure diverse dai genitori di rivolgersi al Tribunale, amplia e complica il contenzioso familiare. Altro aspetto fondamentale, riguarda il mantenimento dell’ex coniuge e/o dei figli: la questione è frequentemente frutto di violenti litigi fra le parti e al giudice si rimettere il compito di determinare il quantum dell’assegno, ogni qual volta le parti, da sole, non riescano a trovare un accordo soddisfacente. In realtà, anche nel caso di separazione consensuale per espressa previsione codicistica, il Tribunale ha sempre la facoltà, in sede di omologazione dell’accordo negoziato, di rifiutare condizioni che si traducano nella cessazione dell’obbligo di mantenimento dei figli o del coniuge che necessita di mezzi di sussistenza, condizione che non può essere omologata, tanto più perché appare nettamente in contrasto con norme imperative di rango costituzionale. In sostanza, essendo un diritto del figlio quello di essere mantenuto, una clausola siffatta si tradurrebbe in un provvedimento contrario all’interesse del minore; differente potrebbe essere, caso per caso, la sorte di clausole che, adeguatamente motivate, deroghino, in materia di contributo al mantenimento dei figli, ai criteri dettati dall’art.155 comma 4° e seguenti, purchè quel diritto irrinunciabile non venga definitivamente compromesso. Va sottolineato quanto sia importante per entrambi i genitori comprendere il significato del principio di bigenitorialità anche sotto il profilo dell’obbligo al mantenimento: infatti,come si è già detto all’inizio, il rapporto genitoriale è un insieme di diritti, obblighi, facoltà, facenti capo, rispettivamente ,ad entrambi i genitori, e quindi per ciascuno in un rapporto biunivoco con i figli, in una struttura triangolare che non è suscettibile di eccezioni e non è altrimenti negoziabile, se non nelle modalità concrete nelle quali dovrà esplicarsi, nel tempo, questa serie di rapporti, facenti capo all’istituto della responsabilità genitoriale. Il procedimento giurisdizionale, nonostante le varie modifiche apportate non è un mezzo adeguato alla risoluzione delle controversie familiari: favorisce l’atteggiamento competitivo poiché risponde alla logica del vincitore e del vinto, prevede tempi lunghi ed è caratterizzato da formalismi che non garantiscono una risposta immediata e soddisfacente agli interessi/ bisogni delle parti coinvolte; per salvaguardare i legami familiari non è sufficiente uno strumento che si limiti a definire il conflitto solo su un piano formale, servono invece, risorse che risolvano le problematiche di cui il conflitto si nutre sul piano sostanziale e la mediazione familiare rappresenta sicuramente lo strumento di elezione. La rifora Cartabia modifica in modo significativo i procedimenti relativi alle famiglie e ai minori: introduce nuovi criteri di riparto di competenze tra Tribunale Ordinario e Tribunale per i minorenni, implementa il rito unico applicabile a tutti i procedimenti relativi allo stato delle persone, ai minori e alle famiglie e prevede che entro il 31 dicembre del 2024 sia istituito il Tribunale Unico per la famiglia con relativa soppressione del Tribunale per i minorenni, articolato in una sezione distrettuale e in una o più sezioni circondariali. Una delle novità maggiormente qualificanti della riforma è quella di realizzare un modello di giustizia proiettato a superare la “logica dell’avversario” tipica del processo, per favorire invece una modalità compositiva del conflitto anche in quegli ambiti in cui fino ad oggi ciò era precluso; la riforma Cartabia in tal senso ha incentivato l’utilizzo della mediazione familiare e della negoziazione assistita conferendo dignità specifica a strumenti complementari ed integrativi alla risoluzione delle controversie familiari.